Oggi dobbiamo contestualizzare tutto alla partita di ieri e a questo impervio finale di stagione: inutile perdersi in altri discorsi, e anche parole come “reazione” o “miglioramento” sembrano soltanto accessorie.

No hay tiempo, e le lancette scorrono inesorabili, implacabili!

Ma il pomeriggio vissuto all’ombra delle Apuane si può certamente riassumere in tre parole: due rigori sbagliati. Un fatto clamoroso e inusuale – a memoria, torno alla partita casalinga contro la Sansovino nel 2004, ai tempi di Sarri.

Detto ciò, ciò che è successo diventa assolutamente sostanziale.

Poi sì, si può parlare di reazione tardiva, sostituzioni, limiti di personalità tra i calciatori, e di molto altro ancora. Ma l’essenza della nostra sconfitta sta tutta in quei goffi tentativi dagli undici metri, che finiranno – in un modo o nell’altro – per pesare sull’economia della stagione e su una salvezza che appare sempre più difficile da raggiungere.

Vediamo cosa accadrà oggi, ma a questo punto evitare i playout sembra, nella migliore delle ipotesi, quasi impossibile.

Si dirà: “I rigori si sbagliano, e li sbaglia chi li batte.”

Tutto vero. Ma chi lo fa, oggi, deve anche prendersi in pieno la responsabilità dell’errore stesso. È successo. Non doveva capitare. Non in una partita così importante, se non decisiva.

Pagano gli allenatori, vivisezionati in ogni decisione.

Si beccano gli insulti i dirigenti sportivi, a torto o a ragione.

Troppo spesso ci si dimentica di chi scende in campo e, in fondo, determina le partite.

Il grande Alfredo Di Stefano, quando giocava nel River Plate, a chi gli chiedeva un giudizio sul suo allenatore, amava rispondere:

“È bravo, ma mai quanto le madri di Muñoz, Pedernera e di tutti gli altri calciatori di quella che all’epoca veniva chiamata la ‘Maquina’ platense.”

Ecco, ieri, uscendo dallo stadio, ho pensato per un attimo al grande Alfredo, sposando – al rovescio – le sue parole.

I giocatori sono determinanti. Nel bene e nel male.