L’erba del Fedini profumava di fresco e di taglio appena fatto, il magazziniere Loris Chiarelli aveva già consegnato il materiale, ogni cosa al proprio posto nello spogliatoio degli azzurri (allora vicino a quello attuale della squadra ospite, il cambio risale agli anni 90). Fra la stampa ed i tanti tifosi presenti c’era grande curiosità per vedere all’opera la nuova formazione messa su dal grande Ivo Giorgi e, soprattutto, per il nuovo allenatore Pierino Cucchi, già calciatore di buon livello. Si diceva che in ritiro la sua preparazione atletica avesse mandato in tilt più di un calciatore, nuovi metodi di allenamento e sudore che grondava ovunque a fine giornata. In quell’estate del 1978 il paese era ancora sconvolto per il sequestro e l’uccisione del leader della democrazia cristiana Aldo Moro mentre saliva al soglio pontificio Albino Luciani, il papà dei soli 33 giorni di pontificato. Imperversava la disco music con i Bee Gees a farla da padroni ma si ascoltavano anche i cantautori De Gregori, Venditti, Rino Gaetano e, soprattutto, Renato Zero ed il suo “triangolo”. E poi Kate Bush con la voce in falsetto e, fra i meno famosi, un certo Leano Morelli che cantava “se un giorno non ti amassi più”. E Umberto Tozzi con “Tu” dopo il precedente clamoroso successo di “ti amo” e Roberto Soffici con “Tanto Donna”, una canzone che al tempo di oggi e del politicamente corretto non so proprio come sarebbe valutata.  (“Sedici anni e tanto tanto donna da insegnarmi proprio tutto ed io li …come un cretino senza fiato”)

Ma torniamo al Fedini allora stadio comunale; esce la squadra con l’allenatore e dietro dietro due cuccioli, ovvero i figli del tecnico della Sangio: Enrico il maggiore e l’altro Alessandro suggeritomi da Francesco Carbini. L’inizio insomma di una storia lunga un anno e per poco non sfociata sportivamente parlando nella promozione in C1, categoria evaporata per gli azzurri prima nella drammatica partita di Carrara e poi nell’ interminabile serie di spareggi con Montevarchi, Cerretese, Imperia e con la stessa squadra marmifera della ruota. E ogni giorno o quasi, i figli di Cucchi al campo, soprattutto Enrico il più grande, all’epoca tredicenne ma già bravo con il pallone e pronto a dialogare senza remore con i vari Santarelli, Ravenni, Trevisan, Doveri e compagnia bella. E, visti i colpi, non era azzardato pronosticare per lui una brillante carriera calcistica, cosa poi rivelatesi puntuale nel breve volgere di due o tre anni.
Dopo gli esordi a Savona, il passaggio nelle giovanili dell’Inter fino all’esordio in prima squadra neroazzurra culminato con una memorabile gara di Coppa a San Siro contro il Real Madrid. E poi le stagioni in mezzo al campo con la Fiorentina, costanza di rendimento ed una serietà e correttezza di altri tempi, sì un ragazzo proprio di altri tempi anche in relazione a quel mondo oramai lontanissimo.
Dopo il ritorno a Milano con il “Trap” nell’ Inter versione “tedesca”,  il passaggio prima al Bari dei Matarrese poi al Ravenna, quando i sintomi del male già si erano affacciati con tutta la sua grave drammaticità: un neo ad una gamba, un melanoma ed una, in apparenza, riuscita operazione prima di imboccare la via del calvario e della morte a soli 30 anni, con dolori lancinanti in ogni parte del corpo martoriato dal male.
Povero Enrico, noi che lo abbiamo visto ragazzo sul prato di casa e che oggi ci ricordiamo di lui e della sua bella famiglia, il padre, la madre, il fratellino più piccolo, gente educata che mi pare avessero preso casa in viale Gramsci a San Giovanni.
Enrico Cucchi riposa nel cimitero della città eletta a sua residenza, Tortona. Li vi è un’associazione che porta il suo nome e si occupa di cure palliative per i malati terminali.
Avrebbe da pochi giorni compiuto 56 anni: lo salutiamo ed abbracciamo da quaggiù tutti i suoi cari.